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La natura in 4 miliardi di anni ha inventato tutto, o quasi, e allora…
“Perché non prenderne ispirazione?”
Esiste una scienza che si occupa proprio di questo e che prende il nome di “Biomimetica”
Ma facciamo un passo indietro.
Quando si studia un materiale, la sicurezza è fondamentale: bisogna evitare la rottura catastrofica, cioè quella improvvisa e senza preavviso che può causare danni gravi.
Per fare ciò bisogna però tenere conto di due proprietà alla base dei materiali:
• tenacità: capacità di assorbire e trattenere energia;
• resistenza: capacità di sopportare carichi.
Il problema?
Queste due caratteristiche sono in contrasto. Per trovare un equilibrio, si usano i materiali compositi (come fibre di carbonio o vetro), che combinano proprietà diverse per ottenere prestazioni elevate.
Tuttavia, presentano due limiti: le proprietà meccaniche non sono sempre garantite e non possono essere riciclati ovvero non possono essere riportati al loro stato primario
In natura, invece, i materiali strutturali sono resistenti, tenaci, riciclabili e ottimizzati per le funzioni che svolgono.
Studiare i meccanismi naturali può ispirare soluzioni innovative e più sostenibili. Certo, serve adattamento: tra natura e tecnologia c’è ancora un divario da colmare.
Questo concetto di “ispirarsi alla natura” ha già portato, negli anni, ad ottimi risultati con la nascita di oggetti che vengono utilizzati anche nella vita di tutti i giorni.
Un esempio? Il velcro.
Il “meccanismo a strappo” nasce da dei fiori. Un ingegnere svizzero si accorse, mentre erano al parco, come il fiore di bardana fosse rimasto attaccato al pelo del cane, mediante l’analisi al microscopio notò che “l’attacco” derivasse da un meccanismo ad uncino caratteristico di questo fiore.
Copiando questo meccanismo si arriva ad una soluzione brevettata e alla nascita del velcro.
Questo segna in qualche modo anche la nascita della biomimetica, una scienza che si ispira alla natura: realizzare materiali rielaborando i meccanismi che la natura ci offre.
Un altro caso? I costumi della Speedo, ispirati alla pelle dello squalo la quale, caratterizzata da una struttura a squame, permette di diminuire esponenzialmente l’attrito.
Il risultato fu talmente strabiliante che tale tipologia di costume, finché altri produttori non furono in grado di riprodurla, dovettero bandirla a causa dell’oggettivo vantaggio che i nuotatori che lo indossavano avevano durante la gara; ma l’unico anno in cui furono ammessi vennero abbattuti tutti i record del mondo di nuoto.
O ancora la madreperla, utilizzata anche in ambito aerospaziale in quanto ha una moltitudine proprietà che tutte insieme non si possono trovare da altra parte, motivo per cui, in laboratorio ci si sta concentrando esclusivamente su alcune di queste e non su tutte.
Una delle ultime scoperte in campo biomimetico ha portato alla realizzazione di “D-HAT” un innovativo casco che trae ispirazione dalle diatomee, una tipologia di alghe: un progetto del laboratorio M3M del DIME dell’Università di Genova guidato dalla professoressa Flavia Libonati.
Ma come si arriva a progettare un casco dalle alghe?
Beh...questo sarà il focus del primo CoffeeTech dopo la pausa estiva!
Quindi…
Save the date! 12 settembre, ore 8 presso la sede di Confindustria Genova, 6 piano.
Prenotazioni su Eventbrite:
https://www.08b600baac75a892df62747d3cc2624d-gdprlock/e/biglietti-onde-di-biomimetica-1550786266469?aff=oddtdtcreator